SALA 3 Opere Rifiutate e Non Realizzate: Le Motivazioni
“Mi interessa l’idea di museo dell’irrealizzato, perché paradossalmente penso che le idee si realizzino già nel momento in cui le comunichiamo agli altri, a livello concettuale, e ovviamente il resto ne assicura una certa tangibilità, ma trovo che sia sempre un passaggio successivo“. Davide Bertocchi
Proseguendo nel racconto della collezione di MoRE, uno dei possibili e più interessanti approcci è quello di una classificazione dei motivi di mancata realizzazione delle opere stesse. L’analisi di un corpus più significativo fra qualche anno consentirà di trarre delle conclusioni che qui non possiamo che introdurre e che si articolano su due livelli: quello della committenza e quello della motivazione di mancata realizzazione.
MOTIVI LOGISTICI ED ECONOMICI
Un primo gruppo di opere donate sono quelle non realizzate per motivi logistici ed economici ovvero per motivi tecnici indipendenti dalla volontà di istituzioni e committenti.
Tra queste opere potremmo per esempio indicare uno dei progetti di Davide Mosconi, Triton (1976-77), evento/omaggio a Beethoven che, concepito per una durata di sette giorni, avrebbe dovuto coinvolgere l’intera città di Bonn, a partire dal fiume, su cui avrebbe navigato una chiatta che ospitava l’orchestra e che non venne realizzato perché giudicato troppo impegnativo sia a livello economico che organizzativo.
Anche il progetto Cannocchiale Ottico di Paolo Scheggi, progettato dall’artista per la Triennale milanese del 1968, dedicata al tema del Grande Numero nella mostra Interventi nel paesaggio, non venne realizzato per motivi economici così come più recentemente accade al progetto di Silvio Wolf I nomi del tempo (2009) all’interno del Padiglione Italia diretto da Beatrice Buscaroli e Luca Beatrice nell’ambito della Biennale di Venezia del 2009.
Un caso limite che si scontra con la concreta fattibilità di un progetto che è invece a cavallo tra arte e scienza è quello di Meteorite al contrario (2010) di Davide Bertocchi che immagina di scagliare nello spazio una roccia per sovvertire le regole comuni e indagare le possibilità di interazione tra uomo e spazio, appunto, al contrario e che non è “ancora” stato realizzato per motivi prettamente economici.
In prospettiva questa categoria del non realizzato ci fornirà forse informazioni sul concetto di limite tecnico e logistico oltre che materiale, una delle questioni fondamentali del fare arte contemporanea oggi che è la progettualità, la conoscenza dei materiali, delle possibilità reali e strutturali in rapporto alla concettualità che ha dominato una lunga stagione dell’arte del XX secolo.
MOTIVI POLITICO – IDEOLOGICI
Argomento delicato, vicino al tema della censura e affrontato artisticamente con un progetto digitale di notevole fama da Antoni Muntadas con il progetto The File Room (1993-oggi), la mancata realizzazione di un lavoro per motivi ideologici o politici è documentata in MoRE da un esempio significativo: Mission Accomplished (2004) di Jeremy Deller. Come scrive il curatore della scheda Marco Scotti, “l’artista (…) invitato a esporre all’interno di Carnegie International nel 2004, aveva presentato questa prima idea – che si inserisce all’interno di una più complessa serie di ricerche e riflessioni riguardo alla contemporanea guerra in Iraq – con l’intenzione di realizzare uno dei suoi grandi stendardi sulla facciata del museo che richiamasse quello utilizzato come sfondo dal presidente Bush in un suo discorso, con la scritta appunto ‘Missione Compiuta’”, cui associava altre immagini di propaganda rielaborate.
Interessante qui notare come questo progetto sia stato volutamente raccontato ed esposto insieme ad altri dall’artista all’interno della mostra monografica retrospettiva Joy in People, e pubblicato nel relativo catalogo nella sezione intitolata “My Failures (2004-present)”, segno di una esplicita considerazione di questa volontà progettuale come parte integrante del suo stesso lavoro che lo accomuna alla frustrazione di Muntadas per la mancata realizzazione di un suo progetto televisivo per la TV spagnola, molla determinante per la creazione, nel 1993, di un primo archivio costituito da circa 400 progetti censurati che darà poi vita al già citato progetto on line e alle mostre che ne sono state tratte e allestite.
- ESERCIZIO TEORICO / UTOPIA
Uno dei motivi di mancata realizzazione di un’opera è la sua intrinseca impossibilità di essere realizzata che la classifica automaticamente nella categoria dell’utopia o la sua natura esclusivamente teorica. A questa categoria va aggiunta anche quella relativa alle opere che non sono mai state presentate ad un committente reale come A conceptual noise (1999) di Ivo Bonacorsi.
Uno dei progetti più significativi raccolti e conservati in MoRE è lo Small Proposals Book (1990) di Jonathan Monk realizzato quando l’artista inglese era ancora studente presso la Glasgow School of Arts, in cui illustra una serie di proposte per progetti per loro stessa natura irrealizzabili. Nell’anno della nomina di Glasgow come Città Europea della Cultura, Monk presenta sei progetti e sei false lettere di risposta del responsabile dell’ente a cui l’artista avrebbe dovuto aver proposto il progetto accompagnato da un’immagine a descrizione dell’idea. Dalle risposte si intuisce come fosse stato progettato di portare le piramidi a Glasgow Green, di spostare il Golden Gate sopra il fiume Clyde, di riportare il senso di guida agli standard continentali, di trapiantare una delle sequoie giganti di Red Woods, di muovere Stonhenge per riqualificare la fontana di Kelvingrove Park, e quindi di spostare per un anno Disneyland nel parcheggio del St. Enochs Centre.
Altri progetti invece, ricollocati nel contesto storico e critico cui appartengono, costituiscono degli esercizi teorici che non hanno quindi una vera e propria ambizione a trasformarsi in opera realizzata: è il caso di Nodi Urbani (1964/67) di Ugo la Pietra riconducibile, come sottolinea la curatrice Francesca Zanella, “alla teoria di esplorazione e studio dello spazio urbano condottoall’interno del corso di progettazione tra il 1965 e il 1967 con Blasi, Banfi, Seassaro e Stevan. (…) Elemento comune di questi disegni è la messa in forma e l’articolazione di emergenze all’interno del territorio urbanizzato difficilmente decifrabile che la fitta trama di segni di La Pietra cerca di tradurre”.